25 mag 2009

Memorial Day


L'ultimo lunedì di maggio si festeggia il Memorial Day, è il giorno che l'America ha scelto per ricordare e per rendere omaggio al sacrificio dei soldati americani nelle guerre che hanno combattuto.

Oggi negli Stati Uniti si celebra il Memorial Day, la giornata dedicata a ricordare i soldati che sono caduti o hanno combattuto in tutte le guerre a cui gli Usa hanno preso parte. Bandiere a mezz’asta, concerti delle bande militari, corone sulle tombe, preghiere, si susseguiranno in ogni città e paese.

E per la prima volta, a Saunemin, uno sperduto villaggio dell’Illinois, sarà celebrato anche un giovane che nel 1862, a soli 19 anni, andò volontario nell’esercito dell’Unione nella guerra contro il sud ribelle. Albert Cashier è il nome con cui il giovane immigrato irlandese si arruolò quel caldo giorno di agosto. Ma oggi sarà ricordato con il suo vero nome, Jennie Irene Hodgers. Dopo tanto tempo, infatti, gli abitanti di Saunemin hanno accettato di onorare quella donna che pur di combattere e difendere il nord si camuffò da uomo e per il resto della sua vita non tornò mai alle vesti femminili, se non quando - oramai vecchia e malata - fu ricoverata in ospedale e la sua identità venne scoperta.

Jennie fu arruolata nel 95esimo battaglione di fanteria, e partecipò a 40 fra battaglie e scontri con le forze della Confederazione. Fu anche presa prigioniera, ma riuscì a disarmare il soldato nemico che l’aveva catturata e a scappare, per tornare al suo battaglione. Combattè con tanto coraggio, e fu tanto convincente come soldato, che il suo capitano, C.W. Ives, la definì «un giovane senza paura». I suoi commilitoni ne ammiravano la perizia con il fucile, e non si stupirono mai del fatto che preferisse fare vita isolata e che non parlasse molto. Lo consideravano semplicemente un giovane solitario, ma lo consideravano uno di loro. Quando Jennie morì, nel 1915, e le autorità dell’ospedale dov’era stata ricoverata volevano seppellirla vestita da donna, i suoi commilitoni pretesero invece che fosse vestita con la divisa (che aveva sempre conservato) e con tutti gli onori militari.

La vicenda di Jennie Irene Hodgers sembra quasi inaudita, se non fosse che quella giovane mingherlina e ”senza paura” non fu che una delle tante donne che sotto mentite spoglie riuscirono a partecipare come soldati combattenti alla Guerra Civile, sia nelle file dei nordisti che dei sudisti. Vari storici sostengono che le donne che si camuffarono da uomo per prendere parte attivamente alla guerra furono almeno 700. Le studiose DeAnn Blanton e Lauren Cook hanno documentato le vicende di 250 di esse, nel libro They Fought Like Demons: Women Soldiers in the Civil War Combatterono come demoni: donne soldato nella Guerra Civile. E hanno spiegato come mai in tanti casi queste donne riuscirono a tenere nascosta la propria identità: era l’epoca Vittoriana, l’epoca del pudore portato all’estremo, e nessuno si spogliava mai, neanche in quelle rare occasioni in cui si faceva il bagno. Al momento dell’arruolamento, le autorità militari si limitavano a guardare che il candidato avesse denti sani, ci vedesse e ci sentisse bene, e capisse l’inglese, il resto non importava. E poi, con quelle divise larghe e informi, nascondere il corpo femminile non era difficile, come si nota dalle foto di Jennie.

La vita militare era primitiva, ed era normale che i soldati non usassero le latrine, ma si appartassero in campagna. L’igiene era approssimativa, e ci si lavava superficialmente e raramente. In poche parole: se una donna voleva mantenere l’incognito, non era difficile che ci riuscisse. Certo, le cronache testimoniano che non sempre lo volevano, tant’è che ci furono situazioni in cui dovettero rivelare la verità perché erano rimaste incinte.

Ma nella maggior parte, le soldatesse parteciparono alla vita al fronte in tutto e per tutto, spesso rimanendo ferite e anche uccise, e rivelandosi coraggiose e resistenti come gli uomini. E i motivi per cui scelsero l’inganno pur di combattere sono vari, e per nulla diversi da quelli che i loro colleghi maschi elencavano: spirito patriottico, desiderio di guadagnare, voglia di avventura. Quel che è strano, è che le loro vicende siano state riportate alla luce solo oggi. Eppure, all’epoca della Guerra Civile, il fatto che molte donne avessero combattuto travestite da uomini era venuto a galla: il caso di Jennie è il più famoso, ma i giornali locali ne raccontarono altri, e alcune delle protagoniste scrissero le loro memorie.

Esisteva addirittura una vera e propria categoria di romanzi d’avventura in cui i protagonisti erano donne soldato che combattevano eroicamente sotto mentite spoglie per poi tornare a casa, felici di aver servito la patria, pronte a sposarsi e fare figli. Ma se negli anni immediatamente dopo la guerra i sentimenti verso di loro erano ancora aperti e tolleranti, con il passare del tempo il perbenismo ebbe la meglio: l’idea che tante donne fossero vissute gomito a gomito con uomini e avessero combattuto e ucciso, sembrò così disdicevole che si preferì dimenticarlo, e nella cittadina di Saunemin qualcuno avrebbe voluto abbattere la casa dove Jennie si era ritirata a vivere dopo la guerra. I benpensanti la considerarono a lungo un ”travestito”, e se ne vergognavano. Solo negli ultimissimi anni, con l’arrivo delle donne al fronte, e gli esempi di coraggio che hanno fornito, la storia di quella ragazza che si fece tre anni di guerra senza un attimo di paura o di debolezza, è stata vista in una luce diversa.

Tornata la pace, nel 1865, Jennie lasciò l'esercito e tornò nell'Illinois, dove fece tanti lavori manuali, in campagna, sempre continuando a indossare i pantaloni e facendosi chiamare Albert Cashier. Il suo segreto, conosciuto solo da un medico che l’aveva curata quando fu investita da un’automobile nel 1910, sarebbe forse rimasto intatto fino alla fine, se non fosse stato che cominciò a soffrire di demenza senile e nel 1913 fu internata in un ospedale psichiatrico. E qui gli infermieri addetti a lavarla scoprirono che Albert era Jennie. L’ospedale la obbligò a trasferirsi nel reparto femminile e a indossare una lunga gonna. E fu quella gonna che la uccise: non abituata ad avere gambe e piedi intralciati da una veste, Jennie inciampò, cadde e rimase ferita, riportando un’infezione da cui non si rimise mai. Dopo mesi di malattia, morì, nell’ottobre del 1915, e solo allora le fu concesso di indossare di nuovo i pantaloni, ma solo perché i suoi commilitoni avevano insistito che venisse rispettata l’identità con cui aveva combattuto.

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