Nato nel Medioevo, il Carnevale Romano ha tuttavia la sua massima esplosione dopo l’elezione di Papa Paolo II, il quale, dopo il trasferimento della residenza pontificia a Palazzo Venezia, concentra nel centro storico ed in particolare nella Via Lata (attuale Via del Corso), la maggior parte dei festeggiamenti carnascialeschi.
La Commedia dell’arte, le sfilate in maschera, i Giochi Agonali, i carri allegorici, tornei e giostre, le attesissime corse dei cavalli berberi e la festa dei moccoletti coinvolgevano tutta la popolazione, richiamando viandanti e curiosi da mezzo mondo. Con l’avvento dei Savoia a Roma nel 1870, inizia il tramonto del Carnevale, soprattutto a causa dei molti incidenti che avvenivano durante i giochi e che mietevano diverse vittime tra il pubblico presente.
I luoghi del Carnevale nell’Urbe erano soprattutto Piazza Navona, dove venivano organizzate rappresentazioni ludiche e fuochi d’artificio, Piazza del Popolo, luogo di partenza dell’avvenimento più importante del Carnevale, la corsa dei Bèrberi, Via del Corso, lungo la quale si svolgeva la corsa che si concludeva a Piazza Venezia.
L’immortalità del carnevale romano è magnificata da scrittori e poeti del calibro di Goethe, Gogol, Stendhal, Dickens e Dumas, e dalla pittura di Caffi, Shor e Orlov.
Ci venivano, al Carnevale Romano, Goethe, Stendhal, Dickens, Rossini, Paganini e chi più ne ha, più ne metta. Hector Berlioz compone addirittura un’ ouvertoure per grande orchestra sinfonica e corno inglese solista a cui dà il nome di “ Le Carnival Romain”
In tempi remoti, le feste erano concentrate in piazza Navona, tra i resti di quello che era lo Stadio di Domiziano. Erano giostre di Saracino, tauromachie, cavalieri che infilavano anelli con la lancia: residui del vecchio motto “panem et circenses” che ritroviamo, in varie stagioni dell’anno, sparse un po’ per tutta Italia.
A Testaccio, sulla montagna dei cocci, il Carnevale era una sorta di lotta contro i maiali, con il popolino che cercava di arraffare quanto possibile delle povere bestie. Poi, nel 1464, arriva al Papato Pietro Barbo, veneziano. All’elezione vorrebbe essere chiamato Formoso, ma i Cardinali lo distolgono dallo scegliere un nome legato ai secoli bui del medioevo. Propose Marco e. anche qui, il Sacro Collegio gli fece rilevare che rieccheggiava troppo il grido di battaglia “San Marco!” dei Veneziani. Si accontentò di chiamarsi Pio II e fu l’ultima concessione al Collegio dei Cardinali, perché diceva “ io sono il Papa e posso, secondo più mi piace, fare e disfare”.
E così il Carnevale si trasferisce in via del Corso, (allora via Lata), in modo tale che tutti potessero godere della vista del palazzo che aveva fatto costruire in piazza Venezia, quel palazzo che allora si chiamava S. Marco e che tutti conosciamo per il famoso balcone di Mussoliniana memoria. Il Corso e le due piazze collegate, quella del Popolo e la piazza Venezia diventano, così,il palcoscenico del mitico carnevale di Roma Un carnevale che consentiva ogni sorta di travestimento e mascheramento durante il giorno, ma che non ammetteva maschera durante la notte, per motivi di pubblica sicurezza. Anche preti e frati, rigorosamente all’interno dei propri conventi e canoniche, potevano mascherarsi.
Unica limitazione il non andar per strada e, per le monache di clausura, il solo “placet” a che si mascherassero da padre confessore. Allegria!
Gli eventi più attesi del Carnevale Romano erano la Corsa dei Berberi e la Festa dei Mocccoletti. La prima era una sorta di festa dei tori di Pamplona, con cavalli che correvano a rotta di collo per il Corso tra grida, incitamenti e pungolamenti del popolo. Poi, nel 1874, un giovane attraversa la strada e viene travolto e ucciso da un cavallosotto i regali occhi di Vittorio Emanuele II.
Il Re abolisce per sempre la corsa dei berberi e il carnevale di Roma comincia il suo declino. La festa dei moccoletti era una gara a tener viva la fiammella della propria candela durante tutta la sera del Martedì grasso, una gara tra nobili, popolani e borghesi, come tra gli appartenenti alle varie classi sociali tra loro . Poteva succedere di tutto, anche sotto l’occhio vigile dei tutori dell’ordine.
Sempre quel grande poeta e cronista di vita che è il Belli ci racconta ne “li moccoletti del 37”:
Cacciorno le carrozze a bbastonate,
serrorno porte, sfassciorno lampioni....
Me pareveno furie scatenate.
E li cherubbigneri e li dragoni?
Co le loro guaianelle sfoderate
ce fescero la parte dei cojjoni.
Se carnevale finiva a mezzanotte con il suono delle campane dei campanili delle chiese romane, tutto finiva, comunque a piazza Venezia. Spalle all’Altare della Patria, a sinistra sull’angolo di via del Corso c’è ancor oggi un “mignano”, un balcone che gira ad angolo sulla piazza e sul Corso, chiuso da “gelosie”.
E’ forse l’ ultimo mignano rimasto a Roma ed è della casa in cui Maria Letizia Ramolino (non siamo parenti!) passò gli ultimi anni della sua via dopo che l’illustre figlio Napoleone Buonaparte evase dall’isola d’Elba. Donna di ferro, spesso in contrasto col suo più famoso figlio, avrà, chissà quante volte, gettato uno sguardo sotto la protezione delle gelosie del suo mignano, a quella folla rumorosa, vestita di mille colori spesso scimmiottanti quelli delle divise papaline. Un poco avrà ricordatole smaglianti divise degli eserciti di tutti i suoi otto figli, messi da Napoleone a governare mezza Europa e, in particolare, quelle di suo genero Gioacchino Murat, re di Napoli che, per le divise variopinte e sontuose aveva un particolare debole. Avrà forse mandato il pensiero indietro nel tempo, nei ricordi e nei rimpianti e pensato a quale tragico carnevale abbia attraversato l’Europa per così tanto tempo con gli eserciti variopinti di suo figlio.
Oggi , poco o nulla è cambiato, quel triste, tragico carnevale continua con gente vestita dei colori delle tutte mimetiche, altro modo di sentirsi diversi per poi essere tutti uguali.
Marcello Ramognino http://www.unonotizie.it/3768-alle-origini-del-carnevale-una-storia-tutta-romana.php
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