Una ricorrenza molto amata e diventata, nel tempo, un appuntamento per tutta la città. Una tradizione antica che unisce storia, devozione popolare e folclore.
Il culto della Madonna del Carmine nasce intorno al 1535, quando dei marinai ritrovarono vicino la foce del Tevere una grande statua di legno raffigurante una Madonna. L'immagine venne consegnata ai frati carmelitani della basilica di San Crisogono che riconobbero la figura nella Madonna del Carmelo, alla quale era dedicato il loro ordine. La Madonna fiumarola diventò così la protettrice dell'intero quartiere e fu subito amata e venerata. La sua importanza era tale che il principe Borghese, nel 1600, fece costruire un oratorio dove la scultura rimase fino al 1890. Poi l'edificio fu demolito, insieme a tanti altri della zona, per la realizzazione del viale del Re (oggi viale Trastevere). A quel punto la sacra immagine venne spostata nella chiesa di San Giovanni dei genovesi, poi nella chiesa di Sant'Agata in largo San Giovanni de' Matha. Dove si trova tutt'ora. Il tempo non ha scalfito la devozione popolare e l'importanza della festa che inizia oggi con la spettacolare processione da Sant'Agata alla chiesa di San Crisogono. In passato c'erano persino i tamburini dei granatieri ad avvisare il rione dell'inio dei festeggiamenti. In quell'epoca la Madonna fiumarola era portata in spalla dai «cicoriari» ed era oggetto di venerazione e rispettotanto che le trasteverine le offrivano gioie e doni. Come nella migliore tradizione romana oltre alle celebrazioni religiose con processioni e messe varie, seguivano momenti di svago popolare con le bancarelle, i cocomerari, le luminarie e i fuochi d'artificio. Aspetti che sono ancora parte della festa de noantri che prende il via alle 17 di oggi. A San Crisogono sarà celebrata la messa pontificale presideuta da Armando Brambilla, vescovo delegato per l'assistenza religiosa negli ospedali di Roma. Alle 18,30 si snoderà la processione nelle vie del rione e alle 24 una fiaccolata accompagnerà il rientro della Madonna del Carmine nella chiesa di S. Agata. La «festa de noantri» proseguirà per tutta la settimana, fino a domenica 26 luglio, quando avrà luogo la rievocazione storica della processione presieduta da Ernesto Mandara, vescovo ausiliare per il Centro. La statua della Madonna fiumarola partirà dal Circolo Canottieri Lazio alle 19,30 e, a bordo di un battello, navigherà lungo il Tevere fino a Ponte Garibaldi. Da qui sarà portata in processione nella basilica di S. Maria in Trastevere. Lunedì 27 alle 6,30 del mattino, una messa concluderà le celebrazioni e la Madonna del Carmine sarà riaccompagnata nella chiesa di Sant'Agata. Dove trascorrerà un altro anno, fino alla prossima festa. C.T.
http://iltempo.ilsole24ore.com/
22 gen 2018
Il Natale nella Roma antica: i Saturniali
Il Natale, certo, è la festività con cui si celebra la nascita di Gesù, ma una buona parte delle abitudini e dei riti che pratichiamo in famiglia e con gli amici, quindi al di fuori della liturgia cristiana, risale proprio al tempo degli antichi Romani.
L'uso di farsi i regali per Natale, le strenne natalizie, proviene infatti dalla tradizione di Roma antica che prevedeva proprio lo scambio di doni augurali durante i Saturnali (Saturnalia), festività in onore del dio Saturno che si celebravano dal 17 al 23 dicembre.
Secondo Varrone, l'usanza di farsi regali in questo periodo venne istituita da Tito Tazio, quindi agli inizi della fondazione di Roma, il quale per primo colse, come buon auspicio per il nuovo anno, il ramoscello di una pianta (arbor felix) posta nel bosco sacro alla dea Strenia, da cui derivò il termine strenae, strenne, per i doni di vario genere.
I Saturnali erano tra le feste più antiche ed importanti di Roma; in origine si celebravano per un solo giorno, il 17 dicembre, per poi essere estesi, all'incirca all'epoca di Cicerone, a una settimana, fino al 23 dicembre appunto. Si festeggiavano durante il riposo dai lavori agricoli e rappresentavano quindi la temporanea liberazione dalle fatiche del lavoro, dalle costrizioni sociali e dalle convenzioni morali, con un ribaltamento dei ruoli sociali, in cui gli schiavi erano temporaneamente liberi. La festa, dedicata a Saturno quale dio della fertilità, serviva anche ad augurare la fecondità della terra.
L'origine delle festività dei Saturnali è incerta: c'è chi la colloca all'epoca della costruzione, ai piedi del Campidoglio, del tempio dedicato a Saturno, individuata dagli studiosi tra il 501 e il 498 a.C., quindi agli inizi della Roma repubblicana; il dies natalis del tempio corrispondeva proprio al 17 dicembre. Alcune leggende riportate da Macrobio nella sua opera "Saturnali" fanno risalire le festività a Giano, antico re d'Italia che ospitò Saturno nel suo regno, imparando da lui i rudimenti dell'agricoltura, e che scomparso questi misteriosamente fu divinizzato, istituendo in suo onore le feste dei Saturnali. Un'altra tradizione fa risalire i Saturnali addirittura ai compagni di Ercole rimasti in Italia. In ogni caso, sempre stando a Macrobio, pare che le feste in onore di Saturno fossero molto antecedenti alla fondazione di Roma.
I Saturnali dell'antica Roma si aprivano con la celebrazione di riti religiosi, con i consueti sacrifici e l'allestimento del lettisternio (Lectisternium), l'offerta di cibo alla divinità la cui statua veniva adagiata sul letto conviviale, dopo averla liberata dai lacci che la tenevano legata per il resto dell'anno. Successivamente veniva allestito un grande banchetto al quale tutti, senza distinzione di ceto, erano invitati e al termine del quale i partecipanti si scambiavano l'augurio "Io, Saturnalia!".
I Saturnali erano dominati da un clima molto festoso e di trepidante attesa, descritti da Catullo come i giorni migliori. Segnavano il passaggio, infatti, tra il vecchio e il nuovo anno, tra il sole che muore e il nuovo che nasce; le celebrazioni si svolgevano a ridosso del solstizio d'inverno che per gli antichi romani cadeva proprio il 25 dicembre.
Durante le festività veniva sovvertito l'ordine sociale: gli schiavi erano temporaneamente liberi di far quel che credevano, potevano parlare apertamente ai loro padroni, stare a tavola con loro e venire perfino serviti da loro, anche se in realtà questo non accadeva quasi mai, servendosi piuttosto i padroni di cuochi e servitori esterni, una sorta di "catering" dell'antichità.
Il gioco d’azzardo, normalmente vietato, era consentito a tutti, anche agli schiavi, anche se era considerato un momento sacro più che ludico. Saturno, infatti, era rappresentato come Giocoliere supremo, colui che possedeva la chiave del Gioco cosmico, cioè di ogni ciclo: regolava l'Ordine Universale con le mosse del suo bastone scettro. Il gioco pertanto serviva per predire il futuro.
La nostra tombola di Natale non è altro che una lontana reminiscenza di questa antica consuetudine.
Comunque, quello dei Saturnali, era un periodo per mangiare, bere, divertirsi ed essere gentili gli uni con gli altri, in un clima di euforia e di attesa per una nuova prosperità.
L’approccio più goliardico della festa era enfatizzato dall’abbigliamento: durante i Saturnali non si indossava la toga, che lasciava il posto a un abbigliamento più informale, molto colorato e sgargiante (synthesis) e tutti indossavano il pileo, un cappello a forma di cono, con la punta arrotondata e dal bordo rialzato, simbolo degli schiavi liberati. Si eleggeva anche una specie di re burla, Saturnalicius princeps, che vestiva con una buffa maschera e con colori sgargianti, tra i quali spiccava il rosso, il colore degli Dèi, e del nostro Natale...
Si usava scambiarsi dei doni, specialmente candele di cera, piccole immagini o bambole di terracotta dette sigillaria, dolci e frutta secca ed esotica.
Marziale nei suoi Epigrammi, Libro 14, cita alcuni esempi di regali che si offrivano durante i Saturnali: tavolette di scrittura, dadi, salvadanai, pettini, stuzzicadenti, un cappello, un coltello da caccia, una scure, diverse luci, balli, i profumi, un maiale, una salsiccia, un pappagallo, tavoli, bicchieri, cucchiai, capi di abbigliamento, statue, maschere, i libri e animali domestici.
Non molto diverso dunque dagli oggetti e dalle piccole cianfrusaglie del nostro Natale...
Non ci sono prove che i Cristiani dei primi secoli celebrassero la nascita di Gesù. Infatti, in accordo con le leggi e la tradizione ebraica delle origini è molto probabile che le nascite non venissero affatto celebrate, in quanto tali celebrazioni erano considerate un'usanza pagana.
Nei Vangeli non compare nemmeno un riferimento preciso alla data della nascita di Gesù. Fu la Chiesa pertanto a fissare una data in questo senso, con l’obiettivo di arginare i culti pagani e possibilmente inglobarli nelle proprie celebrazioni, come molto probabilmente è accaduto con le usanze romane legate ai Saturnali.
http://www.vivereitalia.eu
L'uso di farsi i regali per Natale, le strenne natalizie, proviene infatti dalla tradizione di Roma antica che prevedeva proprio lo scambio di doni augurali durante i Saturnali (Saturnalia), festività in onore del dio Saturno che si celebravano dal 17 al 23 dicembre.
Secondo Varrone, l'usanza di farsi regali in questo periodo venne istituita da Tito Tazio, quindi agli inizi della fondazione di Roma, il quale per primo colse, come buon auspicio per il nuovo anno, il ramoscello di una pianta (arbor felix) posta nel bosco sacro alla dea Strenia, da cui derivò il termine strenae, strenne, per i doni di vario genere.
I Saturnali erano tra le feste più antiche ed importanti di Roma; in origine si celebravano per un solo giorno, il 17 dicembre, per poi essere estesi, all'incirca all'epoca di Cicerone, a una settimana, fino al 23 dicembre appunto. Si festeggiavano durante il riposo dai lavori agricoli e rappresentavano quindi la temporanea liberazione dalle fatiche del lavoro, dalle costrizioni sociali e dalle convenzioni morali, con un ribaltamento dei ruoli sociali, in cui gli schiavi erano temporaneamente liberi. La festa, dedicata a Saturno quale dio della fertilità, serviva anche ad augurare la fecondità della terra.
L'origine delle festività dei Saturnali è incerta: c'è chi la colloca all'epoca della costruzione, ai piedi del Campidoglio, del tempio dedicato a Saturno, individuata dagli studiosi tra il 501 e il 498 a.C., quindi agli inizi della Roma repubblicana; il dies natalis del tempio corrispondeva proprio al 17 dicembre. Alcune leggende riportate da Macrobio nella sua opera "Saturnali" fanno risalire le festività a Giano, antico re d'Italia che ospitò Saturno nel suo regno, imparando da lui i rudimenti dell'agricoltura, e che scomparso questi misteriosamente fu divinizzato, istituendo in suo onore le feste dei Saturnali. Un'altra tradizione fa risalire i Saturnali addirittura ai compagni di Ercole rimasti in Italia. In ogni caso, sempre stando a Macrobio, pare che le feste in onore di Saturno fossero molto antecedenti alla fondazione di Roma.
I Saturnali dell'antica Roma si aprivano con la celebrazione di riti religiosi, con i consueti sacrifici e l'allestimento del lettisternio (Lectisternium), l'offerta di cibo alla divinità la cui statua veniva adagiata sul letto conviviale, dopo averla liberata dai lacci che la tenevano legata per il resto dell'anno. Successivamente veniva allestito un grande banchetto al quale tutti, senza distinzione di ceto, erano invitati e al termine del quale i partecipanti si scambiavano l'augurio "Io, Saturnalia!".
I Saturnali erano dominati da un clima molto festoso e di trepidante attesa, descritti da Catullo come i giorni migliori. Segnavano il passaggio, infatti, tra il vecchio e il nuovo anno, tra il sole che muore e il nuovo che nasce; le celebrazioni si svolgevano a ridosso del solstizio d'inverno che per gli antichi romani cadeva proprio il 25 dicembre.
Durante le festività veniva sovvertito l'ordine sociale: gli schiavi erano temporaneamente liberi di far quel che credevano, potevano parlare apertamente ai loro padroni, stare a tavola con loro e venire perfino serviti da loro, anche se in realtà questo non accadeva quasi mai, servendosi piuttosto i padroni di cuochi e servitori esterni, una sorta di "catering" dell'antichità.
Il gioco d’azzardo, normalmente vietato, era consentito a tutti, anche agli schiavi, anche se era considerato un momento sacro più che ludico. Saturno, infatti, era rappresentato come Giocoliere supremo, colui che possedeva la chiave del Gioco cosmico, cioè di ogni ciclo: regolava l'Ordine Universale con le mosse del suo bastone scettro. Il gioco pertanto serviva per predire il futuro.
La nostra tombola di Natale non è altro che una lontana reminiscenza di questa antica consuetudine.
Comunque, quello dei Saturnali, era un periodo per mangiare, bere, divertirsi ed essere gentili gli uni con gli altri, in un clima di euforia e di attesa per una nuova prosperità.
L’approccio più goliardico della festa era enfatizzato dall’abbigliamento: durante i Saturnali non si indossava la toga, che lasciava il posto a un abbigliamento più informale, molto colorato e sgargiante (synthesis) e tutti indossavano il pileo, un cappello a forma di cono, con la punta arrotondata e dal bordo rialzato, simbolo degli schiavi liberati. Si eleggeva anche una specie di re burla, Saturnalicius princeps, che vestiva con una buffa maschera e con colori sgargianti, tra i quali spiccava il rosso, il colore degli Dèi, e del nostro Natale...
Si usava scambiarsi dei doni, specialmente candele di cera, piccole immagini o bambole di terracotta dette sigillaria, dolci e frutta secca ed esotica.
Marziale nei suoi Epigrammi, Libro 14, cita alcuni esempi di regali che si offrivano durante i Saturnali: tavolette di scrittura, dadi, salvadanai, pettini, stuzzicadenti, un cappello, un coltello da caccia, una scure, diverse luci, balli, i profumi, un maiale, una salsiccia, un pappagallo, tavoli, bicchieri, cucchiai, capi di abbigliamento, statue, maschere, i libri e animali domestici.
Non molto diverso dunque dagli oggetti e dalle piccole cianfrusaglie del nostro Natale...
Non ci sono prove che i Cristiani dei primi secoli celebrassero la nascita di Gesù. Infatti, in accordo con le leggi e la tradizione ebraica delle origini è molto probabile che le nascite non venissero affatto celebrate, in quanto tali celebrazioni erano considerate un'usanza pagana.
Nei Vangeli non compare nemmeno un riferimento preciso alla data della nascita di Gesù. Fu la Chiesa pertanto a fissare una data in questo senso, con l’obiettivo di arginare i culti pagani e possibilmente inglobarli nelle proprie celebrazioni, come molto probabilmente è accaduto con le usanze romane legate ai Saturnali.
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Storia del Carnevale Romano
Nato nel Medioevo, il Carnevale Romano ha tuttavia la sua massima esplosione dopo l’elezione di Papa Paolo II, il quale, dopo il trasferimento della residenza pontificia a Palazzo Venezia, concentra nel centro storico ed in particolare nella Via Lata (attuale Via del Corso), la maggior parte dei festeggiamenti carnascialeschi.
La Commedia dell’arte, le sfilate in maschera, i Giochi Agonali, i carri allegorici, tornei e giostre, le attesissime corse dei cavalli berberi e la festa dei moccoletti coinvolgevano tutta la popolazione, richiamando viandanti e curiosi da mezzo mondo. Con l’avvento dei Savoia a Roma nel 1870, inizia il tramonto del Carnevale, soprattutto a causa dei molti incidenti che avvenivano durante i giochi e che mietevano diverse vittime tra il pubblico presente.
I luoghi del Carnevale nell’Urbe erano soprattutto Piazza Navona, dove venivano organizzate rappresentazioni ludiche e fuochi d’artificio, Piazza del Popolo, luogo di partenza dell’avvenimento più importante del Carnevale, la corsa dei Bèrberi, Via del Corso, lungo la quale si svolgeva la corsa che si concludeva a Piazza Venezia.
L’immortalità del carnevale romano è magnificata da scrittori e poeti del calibro di Goethe, Gogol, Stendhal, Dickens e Dumas, e dalla pittura di Caffi, Shor e Orlov.
Ci venivano, al Carnevale Romano, Goethe, Stendhal, Dickens, Rossini, Paganini e chi più ne ha, più ne metta. Hector Berlioz compone addirittura un’ ouvertoure per grande orchestra sinfonica e corno inglese solista a cui dà il nome di “ Le Carnival Romain”
In tempi remoti, le feste erano concentrate in piazza Navona, tra i resti di quello che era lo Stadio di Domiziano. Erano giostre di Saracino, tauromachie, cavalieri che infilavano anelli con la lancia: residui del vecchio motto “panem et circenses” che ritroviamo, in varie stagioni dell’anno, sparse un po’ per tutta Italia.
A Testaccio, sulla montagna dei cocci, il Carnevale era una sorta di lotta contro i maiali, con il popolino che cercava di arraffare quanto possibile delle povere bestie. Poi, nel 1464, arriva al Papato Pietro Barbo, veneziano. All’elezione vorrebbe essere chiamato Formoso, ma i Cardinali lo distolgono dallo scegliere un nome legato ai secoli bui del medioevo. Propose Marco e. anche qui, il Sacro Collegio gli fece rilevare che rieccheggiava troppo il grido di battaglia “San Marco!” dei Veneziani. Si accontentò di chiamarsi Pio II e fu l’ultima concessione al Collegio dei Cardinali, perché diceva “ io sono il Papa e posso, secondo più mi piace, fare e disfare”.
E così il Carnevale si trasferisce in via del Corso, (allora via Lata), in modo tale che tutti potessero godere della vista del palazzo che aveva fatto costruire in piazza Venezia, quel palazzo che allora si chiamava S. Marco e che tutti conosciamo per il famoso balcone di Mussoliniana memoria. Il Corso e le due piazze collegate, quella del Popolo e la piazza Venezia diventano, così,il palcoscenico del mitico carnevale di Roma Un carnevale che consentiva ogni sorta di travestimento e mascheramento durante il giorno, ma che non ammetteva maschera durante la notte, per motivi di pubblica sicurezza. Anche preti e frati, rigorosamente all’interno dei propri conventi e canoniche, potevano mascherarsi.
Unica limitazione il non andar per strada e, per le monache di clausura, il solo “placet” a che si mascherassero da padre confessore. Allegria!
Gli eventi più attesi del Carnevale Romano erano la Corsa dei Berberi e la Festa dei Mocccoletti. La prima era una sorta di festa dei tori di Pamplona, con cavalli che correvano a rotta di collo per il Corso tra grida, incitamenti e pungolamenti del popolo. Poi, nel 1874, un giovane attraversa la strada e viene travolto e ucciso da un cavallosotto i regali occhi di Vittorio Emanuele II.
Il Re abolisce per sempre la corsa dei berberi e il carnevale di Roma comincia il suo declino. La festa dei moccoletti era una gara a tener viva la fiammella della propria candela durante tutta la sera del Martedì grasso, una gara tra nobili, popolani e borghesi, come tra gli appartenenti alle varie classi sociali tra loro . Poteva succedere di tutto, anche sotto l’occhio vigile dei tutori dell’ordine.
Sempre quel grande poeta e cronista di vita che è il Belli ci racconta ne “li moccoletti del 37”:
Cacciorno le carrozze a bbastonate,
serrorno porte, sfassciorno lampioni....
Me pareveno furie scatenate.
E li cherubbigneri e li dragoni?
Co le loro guaianelle sfoderate
ce fescero la parte dei cojjoni.
Se carnevale finiva a mezzanotte con il suono delle campane dei campanili delle chiese romane, tutto finiva, comunque a piazza Venezia. Spalle all’Altare della Patria, a sinistra sull’angolo di via del Corso c’è ancor oggi un “mignano”, un balcone che gira ad angolo sulla piazza e sul Corso, chiuso da “gelosie”.
E’ forse l’ ultimo mignano rimasto a Roma ed è della casa in cui Maria Letizia Ramolino (non siamo parenti!) passò gli ultimi anni della sua via dopo che l’illustre figlio Napoleone Buonaparte evase dall’isola d’Elba. Donna di ferro, spesso in contrasto col suo più famoso figlio, avrà, chissà quante volte, gettato uno sguardo sotto la protezione delle gelosie del suo mignano, a quella folla rumorosa, vestita di mille colori spesso scimmiottanti quelli delle divise papaline. Un poco avrà ricordatole smaglianti divise degli eserciti di tutti i suoi otto figli, messi da Napoleone a governare mezza Europa e, in particolare, quelle di suo genero Gioacchino Murat, re di Napoli che, per le divise variopinte e sontuose aveva un particolare debole. Avrà forse mandato il pensiero indietro nel tempo, nei ricordi e nei rimpianti e pensato a quale tragico carnevale abbia attraversato l’Europa per così tanto tempo con gli eserciti variopinti di suo figlio.
Oggi , poco o nulla è cambiato, quel triste, tragico carnevale continua con gente vestita dei colori delle tutte mimetiche, altro modo di sentirsi diversi per poi essere tutti uguali.
Marcello Ramognino http://www.unonotizie.it/3768-alle-origini-del-carnevale-una-storia-tutta-romana.php
2 mar 2016
La Pasqua pagana e la Pasqua ebraica
La Pasqua ha due precedenti: quella ebraica e quella pagana.
Sia gli ebrei che i pagani celebrano da millenni i temi della Morte e della Risurrezione in coincidenza del’Equinozio di primavera.
Quella ebraica celebra essenzialmente la liberazione degli Ebrei dall’Egitto grazie a Mosè.
La parola ebraica Pesach significa passare oltre, tralasciare, e deriva dal raccapricciante racconto biblico della Decima Piaga, in cui l’Angelo sterminatore, o angelo della Morte, vide il sangue dell’agnello del Pesach sulle porte delle case di Israele e “passò oltre”, uccidendo solo i primogeniti maschi degli egiziani, compreso il figlio primogenito del faraone.
La Pasqua con il Cristianesimo ha modificato il suo significato originario, venendo a connotare un passaggio, soprattutto il:
Perciò, la Pasqua cristiana è detta Pasqua di risurrezione, mentre quella ebraica è Pasqua di liberazione (dalla schiavitù d’Egitto). La Pasqua ebraica è dunque una festa molto piu’ nazionalista.
La Pasqua pagana
La maggior parte delle religioni pagane mediterranee e mediorientali hanno festeggiato l’equinozio primaverile.
Il nome inglese della Pasqua, “Easter“, deriva dal nome dell’antica dea del sole. Cio’ lo asserisce uno studioso cristiano, Bede (672-735), nel libro De Ratione Temporum. Bede sostiene che Eostre (o Eastre) era la Grande Dea Madre dei popoli sassoni dell’Europa settentrionale. Allo stesso modo, la dea teutonica della fertilita’ era nota con I nomi di: Ostare, Ostara, Ostern, Eostra, Eostre, Eostur, Eastra, Eastur, Austron and Ausos.
Il nome di questa dea a sua volta derivava dall’antino nome della primavera: “eastre.”
Divinità simili erano note nelle antiche culture mediterranee e celebrate nel giorno dell’equinozio di primavera. Alcune di esse erano:
·Aphrodite a Cipro
·Ashtoreth in Israele
·Astarté in Grecia
·Demeter a Micene
·Hathor in Egitto
·Ishtar in Assiria
·Kali in India
·Ostara, dea nordica della fertilità.
Quando si celebra la Pasqua?
Com’è noto, infatti, la data di Pasqua non è uguale ogni anno, ma si sposta sul calendario di anno in anno.
La Pasqua, per la maggioranza delle Chiese cristiane, cade nella domenica successiva al primo plenilunio successivo all’Equinozio di Primavera (il 21 marzo). Questo sistema venne fissato definitivamente nel IV secolo. Nei secoli precedenti potevano esistere diversi usi locali sulla data da seguire, tutti comunque legati al calcolo della Pasqua ebraica.
La pasqua cristiana fu celebrata la prima volta nell’anno 160.
http://www.asiablog.it/
Sia gli ebrei che i pagani celebrano da millenni i temi della Morte e della Risurrezione in coincidenza del’Equinozio di primavera.
Quella ebraica celebra essenzialmente la liberazione degli Ebrei dall’Egitto grazie a Mosè.
La parola ebraica Pesach significa passare oltre, tralasciare, e deriva dal raccapricciante racconto biblico della Decima Piaga, in cui l’Angelo sterminatore, o angelo della Morte, vide il sangue dell’agnello del Pesach sulle porte delle case di Israele e “passò oltre”, uccidendo solo i primogeniti maschi degli egiziani, compreso il figlio primogenito del faraone.
La Pasqua con il Cristianesimo ha modificato il suo significato originario, venendo a connotare un passaggio, soprattutto il:
- passaggio da morte a vita per Gesù Cristo;
- passaggio a vita nuova per i cristiani (in particolare per quelli che, nella Veglia Pasquale, ricevono il battesimo).
Perciò, la Pasqua cristiana è detta Pasqua di risurrezione, mentre quella ebraica è Pasqua di liberazione (dalla schiavitù d’Egitto). La Pasqua ebraica è dunque una festa molto piu’ nazionalista.
La Pasqua pagana
La maggior parte delle religioni pagane mediterranee e mediorientali hanno festeggiato l’equinozio primaverile.
Il nome inglese della Pasqua, “Easter“, deriva dal nome dell’antica dea del sole. Cio’ lo asserisce uno studioso cristiano, Bede (672-735), nel libro De Ratione Temporum. Bede sostiene che Eostre (o Eastre) era la Grande Dea Madre dei popoli sassoni dell’Europa settentrionale. Allo stesso modo, la dea teutonica della fertilita’ era nota con I nomi di: Ostare, Ostara, Ostern, Eostra, Eostre, Eostur, Eastra, Eastur, Austron and Ausos.
Il nome di questa dea a sua volta derivava dall’antino nome della primavera: “eastre.”
Divinità simili erano note nelle antiche culture mediterranee e celebrate nel giorno dell’equinozio di primavera. Alcune di esse erano:
·Aphrodite a Cipro
·Ashtoreth in Israele
·Astarté in Grecia
·Demeter a Micene
·Hathor in Egitto
·Ishtar in Assiria
·Kali in India
·Ostara, dea nordica della fertilità.
Quando si celebra la Pasqua?
Com’è noto, infatti, la data di Pasqua non è uguale ogni anno, ma si sposta sul calendario di anno in anno.
La Pasqua, per la maggioranza delle Chiese cristiane, cade nella domenica successiva al primo plenilunio successivo all’Equinozio di Primavera (il 21 marzo). Questo sistema venne fissato definitivamente nel IV secolo. Nei secoli precedenti potevano esistere diversi usi locali sulla data da seguire, tutti comunque legati al calcolo della Pasqua ebraica.
La pasqua cristiana fu celebrata la prima volta nell’anno 160.
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